28 maggio, 2016

Racconto: Premio prosa Concorso

Prosa: “ Locum tuum usque in sempiternum!?!”

Anna aprì faticosamente gli occhi.
La luce l'accecò.
Riabbassò le palpebre.
“Che strano risveglio!?!” Si preoccupò. Da quando era rimasta sola ogni situazione che non rientrava nelle sue abitudini la mandava in crisi.
Era intorpidita, la testa compressa nella morsa di un'insopportabile, inusuale emicrania.
- “Che mi succede?” -
Le parole ritornarono indietro come l'eco di sassi rotolanti nell'abisso di una grotta profonda: “che..eee...mi.iiii..su..cce.deeeee!”
“boing,boing, boing!!” rimbalzarono, martellandole la testa con ulteriori fitte.
-“ Oddio, come sto male!!”- pensò, sentendo l'ansia arrivare con le sue oscure gramaglie.
“Perchè sto così male? non bevo, non fumo, mangio dietetico, vado a letto presto!”
Altre volte avrebbe riso di quella sua vita monastica, ma non ora.
Frugò, nell' intorpidita mente, in cerca di una motivazione valida che giustificasse il suo malessere. Niente, nella mente il vuoto.
Nonostante i sensi annebbiati, percepì un odore acre penetrare le narici. Non le apparteneva.
“Oddio, non sono a casa mia!” realizzò, urlando
“Che mi succede?.. “ gridò a gran voce procurandosi nuove, doloranti stilettate alla testa.
“Dove sono?” proseguì. Nel silenzio del vuoto, mentre annaspava in cerca di un' appiglio, crampi s'impadronirono dello stomaco.
Provò a sollevare le mani.
Non riuscì a muoverle, erano fredde, rigide. Formavano un blocco unico con dei tubi di metallo a cui erano aggrappate. Tutto il corpo percepiva i tubi. -“Sicuramente sono le sponde dello stretto giaciglio dove mi trovo” - Concluse animando di paurosi presagi, i mille dubbi che giostravano nella mente già provata.
-“Oddiooooooooooooo! non sono a casa mia, non sono nel mio letto!...dove sonooo?”- esplose.
Pianse senza controllo, accavallando singhiozzi ad urla.
Sfinita si arrese.
-“Non serve a niente”- Pensò incoraggiandosi.
-“ calmati!.. si,si.. calmati Anna!” - disse a se stessa. -“ Si,si! se starò calma farò mente e sicuramente troverò le risposte ai miei perchè!”- Qualche attimo e.. - “ un incubo!..ecco sto dentro un incubo...tra un po' il letto oscillerà ed io cadrò urlando nel vuoto!...si,si...è così e non sarebbe la prima volta!..devo svegliarmi!” - decise.
Provò a sollevare una gamba, era rigida, pesante come granito e così l'altra. - “Bastaaaaaa, qualcuno mi svegliiiiii!”-
L'urlo le si strozzò in gola
Il giaciglio cominciò ad ondeggiare come barca colta di sorpresa dal maestrale. Le orecchie pulsarono sotto un vortice di venti impazziti.
Anna, per non cadere, si aggrappò maggiormente alle sponde...
-“Che mi succede, dove sono? Come son finita dentro questa bufera?”- gridò istericamente.
-“chi mi ha portata in questo inferno? c'è qualcuno con me? mi avete sequestrata? drogata? dove mi state portando?”- Strillò, tra rinnovati singhiozzi.
-“ Per pietà, sono un'impiegata, non possiedo nulla, avete sbagliato persona...!”- sfiatò tutte le possibili ipotesi suggerite dalle conoscenze apprese dai suoi amati telefim polizieschi.
Non ricevette risposta.
Era sicura di non esser sola, di trovarsi sopra un mezzo di trasporto. Dal beccheggio del mezzo, suppose essere una barca.
L'avvinse un pianto isterico dove alternava suppliche pietose a maledizioni per i presunti sequestratori
Le immagini dei suoi cari genitori morti sfumavano nella mente stanca, dolorante.
Udì il suono di una sirena. Il cuore prese la rincorsa della speranza
-“dall'ufficio avranno denunciato la mia scomparsa, i servizi d'ordine mi staranno cercando, mi salveranno!”- Pensò la donna. Il battito cardiaco martellava le tempie, l'ansia contraeva lo stomaco
L'assalì un dubbio: “che giorno sarà? Signor aiutami, fa che sia un giorno lavorativo.”
Urlò la donna nella speranza che qualcuno la udisse oppure che i suoi sequestratori la scaricassero perchè gli aveva rotto i timpani e altro.
Qualcosa o qualcuno si mosse accanto a lei. -“Aiuto!!!! sono qui, salvatemi!!!”- sfiatò. Un eco disarmonico di parole, come fuoriuscite da un megafono, le martellò impietoso i timpani già doloranti -“stia zitta! Stia zittaaaaaaa...non se ne può più!!”-
-“vorrei vedere te al posto mio! Maledettooo!!! Chi sei? Cosa vuoi da me? Perchè mi tieni prigioniera!...liberami, non sono ricca, ti pregooo” - invocò la donna passando dal tono prepotente a quello pietoso.
Per tutta risposta il megafono gracchiò - “ La smetta di rompere i timpani!”- Due forti mani, intanto, assicuravano le caviglie e i polsi della donna alle sponde del giaciglio.
-“nooooooooooooo!” - urlò, consumando tutta la riserva del suo fiato.- “ Liberatemi, soffro di claustrofobia...vi prego starò buona, non urlerò più!”-
-“Cosa volete da me? Perchè sono prigioniera? - Piagnucolò soffocata da conati di vomito.
Si addormentò per la stanchezza.
Quando si svegliò il mal di testa, seppur attenuato, era lì a ricordarle l'incubo. Era sempre ancorata allo stretto giaciglio ma non udiva né motori né rollii. L'ambiente era ovattato, silenzioso, troppo silenzioso. Il medesimo odore ma più acre. Il naso infastidito, le prudette.
Sollevò la mano per alleggerire il fastidio...era libera. Distratta dal prurito non udì i passi felpati che le si avvicinarono. Qualcuno le tolse di dosso i jeans tirandoli a strattoni dalla caviglie.
Avrebbe voluto ribellarsi, difendersi, urlare, scalciare ma...era troppo stanca, confusa, impedita, come se le fosse passato addosso uno schiacciasassi.
Per la debolezza e la paura, svenne.
Quando ritornò in sè, realizzò di avere addosso una camicia abbondante che la copriva solo davanti mentre, la parte posteriore poggiava nuda sopra un fresco lenzuolo.
Fattasi coraggio, Anna aprì gli occhi.
In una nuvola di nebbia due fantasmi bianchi roteavano nella stanza confondendosi l'uno nell'altro. Un raggio di luce evidenziava alcuni quadri di un nero lucido dove teschi umani ridevano guardandola da enormi cavità orbitali.
-“ o sono morta in attesa che mi chiamino dall'ufficio “locum tuum usque in sempiternum ” o sono al manicomio.. impazzita!”- Pensò rassegnata la donna.
Chiuse gli occhi per ascoltare l'altra metà di se stessa, quella più spiritosa , che stuzzicandola le rammentò che i manicomi erano chiusi, mentre, l'ufficio “destinazioni per l'eternità - Rettore San Pietro” era aperto. In altra occasione avrebbe riso, adesso non le sembrò il caso.
Si addormentò.
Al risveglio la nebbia era svanita, tutto aveva smesso di roteare, anche i fantasma si erano fermati, le stavano di fronte voltandole le spalle..e non erano fantasmi. Due uomini in camice bianco, dirigevano verso una fonte di luce delle lastre craniche
La donna concentrò l'attenzione sulle parole dei due.
-“bla, bla, bla trauma cranico bla, bla, ischemia, bla,bla macchia bianca più evanescente delle lastre precedenti...bene, bene-”
-“ professore pensa che possiamo mandare la signora in corsia?”-
-“uhummm, rivediamo il tutto! A che ore è arrivata l'ambulanza con la signora?”-
-“ alla undici e trenta, un'ora dopo il malore... ah professore la signora, durante il tragitto ha avuto un violento attacco di panico!” -
Lente lacrime scesero sulle gote di Anna.



27 maggio, 2016

Assente giustificata...

Biografia ufficiale
Autori sardi / sito Luigi Ladu

Maria Antonietta Sechi insegnante di scuola primaria in pensione è nata a Portotorres da genitori di origine sassarese.
Sposata, vive a SANTA MARIA COGHINAS da oltre quarant'anni.
Si diletta a scrivere con passione poesie in italiano e in vernacolo ( gallurese-coghinese, portotorrese). Compone abilmente anche racconti in italiano.
Teneri Haiku e satirici Limerick che pubblica nel suo Blog
A Pasqua 2013 è uscita la sua prima pubblicazione
"WAI,WAI" un racconto per adolescenti
edizioni "il ciliegio “.
Premi e menzioni
2014
Concorso prosa e poesia
Mariuccia Ruju Dessì FIDAPA Italy”
-Menzione d'onore con la poesia “Armonioso intreccio”
-Secondo premio prosa con il racconto “ Tay “
Anno 2015
Concorso in “limba sarda” indetto dall'Associazione AUSER di Budoni
-Primo premio con la poesia in gallurese-coghinese “Cleopatra in Gaddhura”
Concorso Rosilde Bertolotti” in lingua sarda indetto dall'associazione FIDAPA Sassari
-Primo premio con il racconto in gallurese-coghinese “lu banzigu di mamma”
Anno 2016
Concorso “contos e paristorias” indetto dall' associazione culturale di Suni
Menzione d'onore con il racconto in gallurese-coghinese
lu battiu”
Concorso prosa e poesia “Mariuccia Ruju Dessì “ FIDAPA Sassari
-Terzo premio prosa con il racconto “ “ Locum tuum usque in sempiternum”
- Segnalazione con la poesia " l'ultima speme affido al lume lunare"


07 maggio, 2016

Racconto Tutti al mare

Tutti al mare

E' un freddo pomeriggio.
Tea al riparo d' una roccia, erta in mezzo la macchia mediterranea che precede la spiaggia, osserva la natura accarezzata dal grecale. E' Autunno.
Autunno inoltrato fuori e dentro lei.
La Primavera e l’estate sono volate velocemente come l’infanzia e l’adolescenza.
Ha davanti a se il mare. I gomiti poggiati sulle ginocchia, il mento sulla mano osserva le onde giocare con le rocce, nascondersi negli anfratti, rubare la sabbia alla battigia. Lo sguardo subisce il suo fascino. Lo ha amato da sempre, a lui continua ad affidare i suoi pensieri, in lui si perde e si ritrova, fin da bambina. La mente si rilassa rivivendo il mare nei ricordi dolci e colorati dell'età più tenera della vita.
Come petali di rose dimenticate dentro un libro appaiono fragili immagini profumate d'infanzia. Si rivede bambina con i genitori, la sorella i tre fratelli, zia Pina, vedova del fratello della mamma, e i loro tre figli. Tea, i fratelli, la sorella, i cugini avevano vissuto il tempo libero, di quella prima parte della loro vita, insieme.
Durante le vacanze per le feste di Natale, Pasqua ma soprattutto in Estate erano un'unica famiglia.
Le scuole chiuse, giorni e mesi di vacanze da vivere con quella che Tea considerava, ancora adesso che è mamma e nonna, la sua famiglia base.
Il giorno più atteso della settimana era la domenica, chiusa l'officina, il babbo portava tutti al mare.
La domenica iniziava dal sabato con l’arrivo della zia Pina e dei suoi tre figli.
La mamma e la zia, tutto il sabato davanti ai fornelli a preparare il pranzo e la merenda per la giornata al mare.
Pietanze così numerose e abbondanti che evidenziavano i ricordi della fame vissuta nel periodo della guerra. Tea, ad occhi chiusi, sente quei deliziosi profumi e aromi delle innumerevoli pietanze. Polpette fritte e poi affogate nel ragù per condire gli gnocchi, piatto forte per i ragazzi. Seguivano melanzane impanate, ripiene di mortadella, rimpanate e rifritte, le rimanenti erano sistemate tra strati di sugo e formaggio nella teglia che, infilata nel forno, le amalgamava trasformandole in succulenta parmigiana. Zucchine fritte, ripiene, porcetto arrosto e qualche chilo di fettine impanate per la merenda dei “lupi” affamati. Era normale preparare la lepre in agrodolce, l’insalata di polpi con le patate marinati con aglio, prezzemolo, peperoncino, olio e aceto, insalata d'aragosta, frutta e verdura...
Tea e sua sorella aiutavano in cucina.
Si sentivano prigioniere e infelici nel “bruciare” le ore del sabato aiutando la mamma e la zia senza un attimo libero per preparare “l'occorrente” per giocare al mare. Cosa, invece, concessa ai maschi.
Tra cugini e fratelli erano sei, tutti impegnati nel preparare “gli attrezzi” per vivere l’avventura al mare, ma soprattutto, il dopo pranzo quando, le madri imponevano la regola “niente bagno prima delle quattro ore!”
Terminato il pranzo era concesso loro “ giocare nei dintorni” tranne entrare nel mare e nel fiume
I maschi, più numerosi ma anche più grandi, decidevano loro come trascorrere le ore della digestione, vi era un’unica certezza “ niente femmine!”
Per seminarle sceglievano i sentieri più impervi, i più sassosi…..raccontavano di lucertoloni, Tea paurosa, sarebbe anche ritornata indietro ma sua sorella, “ maschiaccio “ per natura, li seguiva con prepotenza, Tea per non sentirsi inferiore, le stava dietro. Era, sempre quella che titubante chiudeva, la fila.
S'immettevano in una radura con cespugli di macchia mediterranea e ruderi di capanne di pastori abbandonate. Tea ricordava “ i maschietti” trasformarsi in Tarzan, cacciatori, soldati. Lei e la sorella, pur non potendo partecipare potevano “osservare” le battaglie a condizione che non facessero le “spie”. Le due sorelle consideravano un privilegio seguirli, soprattutto se ricevevano la grazia d'esser ammesse ad alcuni giochi più adatti anche alle “femmine”. Tea adorava giocare con i fratelli ed i cugini “a gli sciatori”. Dopo aver faticosamente risalito montagne di sabbia, scivolavano fino alla spiaggia, utilizzando il cartone come schettino sulla neve. A volte, le due sorelle non guadavano il fiume, si fermavano sulla sponda. Chiusi gli occhi, la donna si rivedeva con la sorella immergere le mani nell'acqua pura, gelida, trasparente di “Fiumesanto”, per cogliere manciate di sabbia finissima da filtrare in cerca di ciottoli bianchi per giocare alle “cinque pietre” I ciottoli erano rari ma non le palline nere degli escrementi di pecora che l'acqua fredda rendeva abbastanza resistenti per il gioco.
La domenica mattina gli ultimi preparativi. La mamma metteva sulla fiamma il pentolone per cuocere gli gnocchi, nel frattempo, la zia Pina, Tea e sua sorella sistemavano le pietanze nelle terrine.
Non esistevano i frigo portatili o i contenitori di plastica ma tutto rigorosamente di ceramica, terrine,” noooo!” meglio definire “terrone” veri e propri “lavamani,” di tutte le grandezze, contenevano il cibo fino al bordo ricoperto con coperchi di pentoloni , tenuti fermi da teli di cucina, annodati per gli angoli. Il tutto sistemato dentro cassette di legno. In altre cassette si sistemavano piatti lisci e fondi, posate di acciaio e bicchieri di vetro, bottiglie di birra e di vino e una bibita gassosa “la spuma”. Una cesta di pane.
Tutto avvolto in tovaglie e tovaglioli di stoffa, che al mare avrebbero svolto il loro reale compito anche se decorate di profumate macchie d'olio
Finalmente, mentre, la mamma annegava in abbondante ragù e formaggio gli gnocchi, il babbo svolgeva la cerimonia dell’aragosta, l'ultima pietanza.
Prendeva, con cura, l’aragosta lessata, l'allungava sul tagliere poi , con mano sicura, la tagliava al centro della schiena, evitando di spezzare il filo rosso che toglieva mostrandolo orgogliosamente intero.
Poi la spolpava e tagliata a pezzi, la condiva con pinzimonio di limone e olio.
“che emozione!”
Finalmente pronti, iniziava la fase sistemazione cassette e “umani” dentro e fuori la “giardinetta” familiare.
Prima le cassette. I ragazzi aiutavano a sistemarle sul portapacchi, agli ordini del babbo. Cercavano gli incastri come in un puzzles, quindi sistemava almeno tre ombrelloni, due sdraio, una a strisce gialle e l'altra arancione, sediette di legno, la “valigia da spiaggia”, un simbolo dello sviluppo economico degli anni sessanta. Tutto era ricoperto con i teloni degli ombrelloni, iniziava, quindi, la fase “prendi la corda“ “adesso lancia la corda”, ahiaaaa!, stai attento!!! ma non ti ho visto!”...
Legare tutto sul portapacchi era veramente un’ impresa, tanto era alta la montagna di bagaglio.
In cima alla montagna vi era l’amore, la passione dei ragazzi: la cameradaria di trattore o camion, rattoppata e gonfiata con cura dai maschietti , praticamente l'unico salvagente per lo sciame di ragazzini.
Non era un semplice salvagente ma la zattera dei pirati, la piscina per tuffarsi dentro come delfini. Piccolo dettaglio: la grossa cameradaria aveva una valvola enorme, quindi tutti lottavano per non prenderla sulla schiena, sulle cosce, perché i segni che lasciava duravano oltre la settimana. Era ovvio: quello accanto alla terribile valvola, era l’unico posto riservato alle femmine.
Infine, sistemati i bagagli, prendevano posto le persone.
In macchina, sul davanti sedeva la mamma .
Nel sedile posteriore le femmine e la zia ed un maschietto, preso a caso per le orecchie, perché tutti volevano andare nel portabagagli che il babbo chiamava sorridendo “la conigliera”:
I ragazzi , cinque, entravano ad uno ad uno tra vari “aia!, spostati! E stringiti!”
Stavano stretti, anche perchè nelle tasche custodivano oggetti personali come la fionda, le biglie, la pallina fatta di fette di cameradaria di bicicletta sovrapposte l'una sull'altra con un sasso per baricentro !! ” Tea sorrideva con tenera malinconia a quelle pennellate di colori che si aprivano la strada tra i meandri della mente. Rivedeva la macchina stracarica partire verso la spiaggia, dove si sarebbero incontrati con le altre famiglie di parenti. Arrivare a “Fiumesanto” non era cosa facile. La “giardinetta” aveva problemi alla pompa “C”. Ogni pochi chilometri si ingolfava di benzina e il motore si fermava. Il babbo di Tea scendeva dalla macchina, sollevava il cofano, tolta la famigerata pompa, vi soffiava dentro a tutto fiato, sputata la saliva imbenzinata ritornava alla guida fino alla prossima ingolfata e così fino al mare dove arrivava bruciato dal sole. Ci si accampava sempre nello stesso punto, come se si fosse pagata la tassa di soggiorno e approssimativamente nello stesso orario dello zio Luigi con la sua cinquecento simile ad un guscio di tartaruga, tanto le gomme sparivano schiacciate dal peso del carico di persone e bagagli.
Alcune volte si univa la famiglia del cugino Nino con la moglie Anna, favolose le sue polpette al rosmarino, e i loro due figli.
Una tribù al completo.
“Però, che sfiga” rifletteva Tea,
Le bambine erano tre, i maschi almeno otto, anche dieci.
Appena arrivati, il babbo apriva gli sportelli e, come nei migliori film comici, si usciva uno dietro l'altro. Si era così numerosi che si aveva l'impressione che da una portiera si uscisse per rientrare dall'altra.
Subito, si riceveva l’ordine: “che nessuno scappi! Ci sono i bagagli!”
E dopo la fatica per metterli su iniziava il lavoro a ritroso, metterli giù dal portapacchi e trasferire il tutto sul punto scelto dalle madri.
Sistemati i bagagli, baci e abbracci con i familiari già arrivati, e via al rito ”sistemazione ombrelloni e tendoni”.
Il compito dei ragazzi era quello di mettere la sabbia per fissare le tende, passare le corde per legarle a paletti fissati dentro i fossi scavato, precedentemente, in profondità nella sabbia. Ora che “l’accampamento” formato dai colorati ombrelloni e relative tende delle tribù era a posto ormai, l'orologio segnava due dopo mezzogiorno...finalmente “via tutti in acqua”….tra le urla delle mamme
“non andate lontano!, guai a chi tiene la testa di qualcuno sotto l’acqua!, non vi picchiate! Lasciate spazio alle bambine! E voi bambine non fate i maschiacci!”
Nemmeno uno di questi “ordini” veniva eseguito.
Ci si tuffava schizzandosi a vicenda, si tiravano manate di acqua e poi il babbo lanciava la cameradaria che, con un tonfo toccava l’acqua tra le grida gioiose dei ragazzi., le mamme continuavano a dare ordini e il babbo tranquillamente
“ma lasciateli giocare!”
“ ma se annegano?” gli urlava la mamma
Il babbo con tranquilla ironia” non preoccuparti sono così numerosi che non se ne accorge nessuno!”
Zia Pina coglieva sorridendo la battuta, la mamma né coglieva, né sorrideva.
Tea rivedeva e risentiva il loro schiamazzare gioioso confuso con le grida dei gabbiani che si allontanavano, con frullio di ali, alla ricerca di lidi più quieti.
Tutti si arrampicavano sulla grossa cameradaria per tuffarsi dentro e rispuntare con uno schizzo d’acqua, si spingevano, si spintonavano per raggiunger l’ambito posto…però non litigavano
-Nel frattempo i “grandi” preparavano la “tavolata” per il pranzo.
Tavoli, sedie, sdraio, tovaglie, ognuno metteva quel che aveva portato. Le pietanze erano le stesse.
Le mamme confrontavano i metodi di preparazione vantando ciascuna la propria arte culinaria.
Seduta sotto un ombrellone vi era una cugina, poco più piccola di Tea: Rosy.
Era la figlia dello zio Luigi, nata dopo diversi maschi. I suoi genitori, poichè soffriva di asma , la tenevano chiusa come dentro una campana
Indossava un costume “da bagno” ( si fa per dire) cucito dalla sua mamma con della stoffa di maglia, per proteggerle il petto e le spalle dai colpi d’aria e, con quaranta gradi all’ombra, dopo aver indossato sul costume un golfino di filo di cotone, osservava, con i suoi grandi occhi tristi e circondati da grosse occhiaie, i fratelli e i cugini che giocavano. Al ricordo Tea s'intristisce. Rosy, nella sua scelta di vita sarà segnata non dall'asma ma dall'ossessiva protezione dei genitori.
Appena la tavolata era pronta, esattamente un’ora , più o meno dall’inizio del bagno, i ragazzi erano richiamati perchè uscissero fuori ad asciugarsi.
Grandi proteste ricevevano in risposta. Uno usciva, un altro ritornava dentro
Ma era inutile, la mamma di Tea sgridava, non solo i figli ma anche il marito, più permissivo e paziente, perché si imponesse con i figli.
La zia Pina aveva un modo molto personale e raffinato per richiamare i suoi : emetteva un leggero fischio inspirando l’aria tra i denti, con le labbra leggermente aperte.
Alla fine si usciva tutti dall’acqua, brontolando e imbronciati, si asciugavano e poi si sistemavano vicini, seduti sul secchiello rovesciato.
E la tavolata?” era per gli adulti!!!
Iniziava il giro delle pietanze.
I ragazzi, anche se avevano accordato di mangiar poco per ridurre quelle famigerate ore della digestione, finivano con il mangiare come lupi, secondo le leggi dell’adolescenza.
Dopo tre ore di attesa per il secondo bagno i fratelli di Tea, insieme ai cugini facevano le piramidi umane. I più grandi alla base, sopra le loro spalle i medi, fino ad arrivare a metter su il più piccolo. A questo punto la piramide crollava e dove?
guarda caso sulla battigia, così crolla adesso, crolla dopo, i ragazzi erano tutti bagnati,
A questo punto il coro. Possiamo fare il bagno?
Risposta corale dei Grandi “ perché siete asciutti?
Al solito il padre di Tea: lasciateli andare a giocare nell’acqua”
E tutti a correre con tuffi e spanciate nelle cristalline acquee incontaminate.
Il sole sta tramontando sul mare. E' ora di rientrare. Chiuse le veline dei ricordi tra le pagine del tempo, strette il golfino sulle emozioni del cuore Tea riprende lentamente la strada verso il suo oggi.









02 maggio, 2016

Poesia...ho attraversato l'oceano con una barchetta

Ho attraversato l'Oceano con una barchetta

Il calore della Terra
nel pugno della mano,
nel cuore
i chiaro-scuri della vita
radicati in fretta
nel tempo
della verde stagione
quando
ancor incerto pollone
cercavo il lume solare.
L'andare sui solchi
dei carri e dei buoi,
della casa
profumi e sapori,
del natio paese
gli umori.
Legati con spago
nella valigia,
rinfusi
tra sogni, speranze,
incertezze ed affanni
dei miei quindici anni.
Come barchetta,
abbandonate sullo scivolo le ruote
son varato sull'onda.
Negli infiniti orizzonti
ho espirati i miei silenzi.
Ho chiuso le paure
tra pareti di onde
l'oceano
mi fu padre,
la solitudine
madre
La scorza segnata
dal lungo navigare
prosegue,ora, la via
sulla terra natia
Ma solo
nel profumo del mare
ritrovo il mio “essere”,
e la strada del mio andare.

Tetta