30 gennaio, 2013

...un amore..prima parte

Romanzo

Di Maria Antonietta Sechi da un'idea di Antonio Pes

La giornata volgeva al termine.
Gli ultimi raggi di sole accarezzavano le colline, e rinfrangendosi sulle più alte rocce del paesaggio , riflettevano caldi colori di porpora e oro su un paesello che, come incanto, si intravedeva in armonica fusione con il paesaggio.
Poche case bianche spiccavano tra i colori della selvaggia natura, abbarbicate in uno spiazzo tra le montagne della Gallura.
L'una accanto all'altra, come gregge di pecore che, intimidite dal buio della sera, si incoraggiano a tatto di vello, nello spazio chiuso dell'ovile.
Qua e là , sparpagliati nel paesaggio , piccoli stazi isolati , colmi di laboriosità e ospitalità.
Gente semplice, viveva il tempo cadenzandolo al ritmo degli avvenimenti naturali.
Al sorger del sole, gli uomini, si recavano al lavoro nei campi o con il bestiame e al tramonto rientravano.
All'alba o al tramonto, il silenzio della natura era interrotto dalla risonanza delle loro scarpe “bollettate” che, battevano sul selciato di stradette appena tracciate, tra i sassi e la macchia mediterranea.
Quella sera , a rompere quell'incanto, fu un gran polverone proveniente da un sentiero che scendeva da
monte “Purpureo”.
Un tintinnio di campanelli e belati di pecora annunciarono il precipitarsi di un gregge che sbucò da dietro una macchia di lentischio e da dietro piccole rocce di granito, sparse qua e là, per introdursi, come da millenario rito, nel loro ovile.
Ad una ad una, attraversarono il varco che immetteva in una tanca , limitata da un muretto costruito con pietre differenti per forma e grandezza.
Un cagnolino bianco “Piluccu”, così chiamato per il suo pelo folto , lungo e morbido come la lana, abbaiava e saltellando guidava le pecore verso il varco;
consapevole del suo incarico, rincorreva quelle “distratte che si allontanavano dal gregge.
Ritto, davanti al varco, stava un giovane , alto, bruno di carnagione, occhi grandi, scuri , osservava compiaciuto la destrezza del suo cane, mentre, attentamente contava le pecore che, entrate nell'ovile, andavano a raggrupparsi ai piedi di un grande olivastro.
- bravo Piluccu !- incoraggiava l'animale che aumentava il suo saltellare ed abbaiare .
Giuanneddu, così si chiamava il giovane, aveva ventisei anni. Indossava l'abbigliamento tipico del pastore sardo: gambali di cuoio alti fino al ginocchio, pantaloni di fustagno di un confuso colore verde-marrone, la giacca pure di fustagno e sulla testa un berretto di feltro, calato sulla fronte, quasi, a proteggere lo sguardo e con esso i pensieri.
Alla fine della conta, con gesti ritmati dall'abitudine, il giovane prese una frasca spinosa di pero selvatico, entrò anche lui nell'ovile e ostruì il varco.
Giuanneddu pensava con sollievo che a breve avrebbe terminato il lavoro.
Presa una pinta, nascosta dietro un cespuglio, si mise in mezzo al gregge e procedette alla mungitura , invitando, con carezze e parole dolci, le pecore più inquiete alla tranquillità.
Man, mano che la pinta si riempiva, travasava il latte in grandi bidoni...e così finchè non ebbe munto anche l'ultima pecora.


                                                 



2 commenti:

Fata Confetto ha detto...

...bevo un sorso di latte e aspetto il seguito.
Ciao a presto:)

bianco su nero ha detto...

ecco il seguito...bacio