15 marzo, 2011

Racconto : la fotografia


Tea stava seduta sul tappeto accanto alla vecchia scrivania che era stata di suo padre.
Frugava nei  suoi profondi cassetti: vi era di tutto, ma ogni foglio, oggetto o fotografia richiamavano alla mente  tanti  ricordi. Erano il ripostiglio della memoria.
Nel frugare le capitò tra le mani una fotografia della  sua classe, forse, frequentava la  terza elementare.
Guardò  ad una ad una le  sue compagne, e si…. Compagne!, tutte rigorosamente bambine.
Non esistevano le classi miste. Lo stesso, enorme caseggiato scolastico aveva due portoni di entrata: quello all’estrema  sinistra, era del maschietti e ,in fondo all’estremità destra , vi era il portone delle femmine.
All’interno , una doppia vetrata ,nel corridoio, separava  l’ala delle aule dei maschietti da quelle delle femminucce.
Tra le due vetrate vi era un breve spazio, ove  le maestre depositavano la firma della presenza, sul registro poggiato sopra un piccolo scrittoio.
Nell’ala, riservata ai maschietti, vi era un ‘altra vetrata in fondo al corridoio, con una porticina  chiusa a chiave.
Quella era la zona  per gli alunni “diversi”
“ Ma diversi come?” si chiedeva Tea insieme alle compagne.
Non li avevano mai visti .Ai “diversi” era proibito l’accesso dai portoni principale, entravano dalla porta del grande cortile che stava in  mezzo all’enorme caseggiato , le cui aule e lunghi corridoi si estendevano, su due piani.  Con planimetria rettangolare, circoscrivevano un grandissimo cortile..
L’accesso “ loro”,era distante, situato in un’altra via., dietro e opposta a quella principale.
 Persino l’orario, d’ingresso ed uscita, era differente
Alla commemorazione del 25 Aprile che, si svolgeva pomposamente in quel grande spazio aperto,
erano invitate le autorità cittadine del Municipio e della chiesa, i parenti degli alunni “normali”, la cittadinanza……tranne quegli alunni.
Così  quando, con le compagne, si chiedevano come fossero fatti i “diversi” si pensava a “mostri” che avessero poco di umano e molto di bestia: “ mostri” con strane malattie che, avrebbero contaggiate al solo nominarle.
Le classi particolarmente numerose, non meno di trentacinque alunni, erano sistemate in aule capienti , alte, tre finestroni guardavano fuori sulla strada ma, erano così alte che gli alunni vedevano il cielo.
La lavagna, la scrivania ed un piccolo armadio completavano l’arredamento  formato, soprattutto da banchi,
Il banco: un monoblocco di legno , formato da una base “predella”, che comprendeva un piano inclinato con il foro per il “bicchiere” porta inchiostro e ed un sedile tipo panchina , per due posti.
Quando suonava la campana, la bidella apriva la porta ,ove schiacciati “per chi entra prima” passavano scaraccollandosi gli alunni.
Tea sorrise a quel ricordo: rivedeva la bidella togliersi le ciabatte e tirarle al primo gruppo di “bisonti” urlando minacciosa in dialetto “ vedrai lo dirò a tua madre” oppure “guarda che ti ho riconosciuta !..”
Anche tra le bambine vi erano certi maschiacci.
Tea, entrava sempre dopo il primo gruppo, tra quelle tranquille.
Arrivati nell’aula, ognuno prendeva il suo posto nel banco , e sedeva il silenzio perchè  entrava la maestra.
 Tutti si alzavano in piedi come soldatini o burattini?, Tea  confrontava il suo essere alunna con quello dei suoi figli, trovava la differenza ma,la scuola seguiva la rigidità del tempo ma anche l’incoerenza perché ci si alzava in piedi se entrava un’altra maestra, il Direttore ma non per la bidella
Sentiva ancora, il coro della classe” buongiorno signora maestra”
Il tono del “buongiorno” in risposta era relativo al piedestallo sul quale si era posta la maestra nei confronti dei suoi alunni.
Tea non si poteva lamentare, aveva cambiato una maestra per ogni anno scolastico, però aveva conosciuto i maestri dei suoi fratelli…………….insomma ringraziava Dio di non averli incontrati.
Mentre la maestra preparava l’inchiostro mettendo una polvere scura dentro una bottiglia con l’acqua e lo agitava, la capoclasse, scelta dalla maestra fra l’elite , passava tra i banchi e controllava la pulizia del collo, delle mani e delle unghie dei compagni; segnava il nome di quelli “sporchi” in un foglio che poi lasciava sulla scrivania della maestra.
La maestra dopo aver versato l’inchiostro nei contenitori degli alunni, raccoglieva quel foglio , poi le reazioni e punizioni erano differenti da docente a docente: andavano dall’umiliazione orale davanti a tutti, alla nota sul quaderno che invitava la madre a lavare il proprio, figlio, alla pestata delle mani con la “famigerata” bacchetta. La risatina, umiliante dei compagni………….
A quel ricordo Tea fu presa da crampi allo stomaco.
Anche in quella fotografia erano differenziati.
 Lei stava seduta in prima fila, aveva la frangetta ben tagliata e due codette  fermate con fiocchetti bianchi , il grembiule, il colletto ed il nastro ordinatissimi, come quelli delle bambine che stavano in prima fila.
Erano figlie di commercianti, la nuova borghesia emergente del dopoguerra, o della farmacista, del medico………….l’elite della città.
Questo era il gruppo preferito dalla maestra che le chiamava “ i miei usignoli” perché studiavano a memoria anche quello che non capivano,ascoltavano la maestra anche quando avevano voglia di guardar fuori dalla finestra, gli invidiati uccellini che liberamente volavano scegliendo, come, dove e quando muoversi………………….
Dietro la prima fila , in piedi, si vedevano a mezzo busto gli scolari di “media qualità”
Questi avevano la colpa di spendere qualche ora del pomeriggio a giocare per la strada “a paradiso, saltare con la corda, inseguire un cerchio vecchio di bicicletta, fare a botte con i compagni” e poi eseguivano i compiti  in fretta, non usavano la bella calligrafia, nei loro quaderni vi erano anche “quelle terribili orecchie” e qualche macchia…………..
In fondo in piedi su una panca della mensa stavano tutte le gradazioni dei “topi roditori”
Di loro era complicato far vedere anche la faccia.
Tea  osservandoli a distanza di anni provava ancora una grande pena.
Erano le figlie della povertà.
Difficilmente indossavano il grembiule, erano sporche, spettinate.
Pur vivendo nella stessa classe formavano un gruppo a se stante.
Non seguivano, la maestra non toccava neanche i loro quaderni e poco interessa  poneva nel loro apprendimento………………….dovevano far silenzio e basta.
Fuori della scuola vivevano in case-grotte-tuguri, nella zona vecchia dietro la piazza della chiesa.
Tea non ricordava i nomi delle altre sue compagne di classe, però ricordò quelli di due “topi  roditori”
 Appartenevano a due grossi nuclei familiari ,ove la più anziana mamma-nonna,grassissima,  al centro dell’unica stanzona scavata nel tufo della roccia, con la porta sostituita da una lurida tenda sollevata su un filo di corda, accendeva il fuoco e mescolava in un grosso pentolone il pasto per tutta la famiglia, i numerosi figli, nipoti, orfani ecc.
Erano famiglie di pescatori, lavoravano ma erano così numerosi che non bastava mai.
In città li chiamavano per “soprannome”, con nomi di pesci di basso valore: “zerri” “baccalà”o altri irripetibili...........
Le osservava nella vecchia foto: a parte i segni del disordine fu colpita dai loro volti: grandi occhi scuri, belli ,tristi; assenza del sorriso…espressione di disagio.
Lo sguardo di Tea passava dalle compagne nelle file precedenti e ritornava a loro per finire sul cappellino elegantemente indossato dalla maestra. ,con lo sguardo orgogliosamente rivolto ai suoi usignoli.
                        
                                                        








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